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Beatrice Bianchini
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ANNETTE ( ‘139)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2021 ·
di Leos Carax
con Adam Driver e Marion Cotillard

….Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia?
Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte?
Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole?
Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli?...
( F. Nietzsche, La gaia scienza)

“So, may we start?” domanda Leos Carax
E mentre la figlia, si la vera figlia, si avvicina a lui l’opera inizia.
Ma quale opera sta per iniziare? Una storia d’amore?
Un musical dove c’è ben poco da cantare e tanto meno da ballare…?
Si, Henry Mc Henry e Ann Defrasnoux si amano, almeno così sembra.
L’uno soprannominato Ape of God, sarcasticamente la scimmia di Dio,
è un istrione narcisista, provocatorio e grottesco; lei una cantante
lirica eterea, divoratrice di mele.
La nascita della figlia/bambola/burattino Annette sancisce e
contemporaneamente squarcia il velo su una coppia artificiale.
Sebbene la “bambina” non parli e non crei alcun disagio, se non come
nuova innocua presenza della casa, qualcosa di subdolo
si insinua nel gioco di coppia.
Un presagio sul palcoscenico e un viaggio in barca con una tempesta in
agguato travolgerà i piani, passati, presenti e soprattutto
imprevedibilmente futuri.
L’illogicità formale e strutturale dell’opera ritrae in modo matematico
il naufragio dei punti di riferimento: la follia del musical, i testi vuoti e
superficiali, l’inconsistenza dei sentimenti e il delirio mediatico
accompagnano l’apparato rappresentativo.
Premiato a Cannes 2021 per la miglior regia, Annette viene presentato
al grande pubblico dopo 9 anni dall’ultimo film, Holy Motors.

Carax usa il musical più snervante, disturbante, urticante, IRRITANTE
perché vuole sfinire lo spettatore, vuole disgustarlo, saziarlo,
nausearlo per dire cosa?

La PROVOCAZIONE è la virtù magistrale dell’irriverente regista
francese e questa volta la fa parlare inglese con un musical sfiancante.
Perché?
Una storia d’amore senza storia, una genitorialità senza amore, un
amore senza futuro, un futuro senza passato, una famiglia senza
presente, una morte senza dolore, una figlia senza perdono,
una rabbia senza catarsi.
Un marchingegno narrativo estenuante sollecita il ricorso alla
resistenza premiata solo dalla nascita della bambina e solo nel finale
dove la bambina stessa diviene persona, quel per sé unum passato
indifferente ad una genitorialità narcisista e perversa.

La bambina è una creatura sacrificale, issata sull’altare della coppia
bella e famosa, un essere inquietante e silenzioso che fa da
palcoscenico al film/mondo/ cinema paradossale del regista francese.
Il paradosso è nel ritratto di un mondo quello mediatico, di una
famiglia quella contemporanea, di un contesto quello culturale,
contagiato dal virus della assurdità
esistenziale diventata ormai ordinaria.
Se Henry è invidioso e affetto da psicoapatia, Ann è ingenua e
incantata, Annette è la natura tramortita dall’istinto di sopravvivenza
che fa della giustizia la forza della resistenza.

Se Ann morde continuamente il frutto proibito, la caduta dell’uomo, il
peccato originale e le ripercussioni su tutta l’umanità sono già
avvenute: la (dis)obbedienza è quotidiana e la “libertà”
non è più arbitrio.
Ma la bambina/burattina diviene collodianamente umana e si erge
voce inascoltata e giudice inflessibile di fronte ad un genitore
miseramente non-padre.
Una forte impronta autobiografica fluttua nella narrazione favolistica
del naufragio dei personaggi di pezza soggiogati dalla perdita
dell’orientamento… Carax è lì presente e usa gli spettatori
ipnotizzandoli al contrasto marcato tra l’ insostenibilità del musical e
l’ ineluttabilità prestabilita della condizione umana.
Un’Odissea quella di Carax autoriferita a quel sé di arte e vita
indissolubilmente intrecciate.
Se il paradosso bislacco, eccentrico, imprevedibile e stravagante
diviene banale, comune e ordinario, niente è formalmente più indicato
che un musical stupido ma demoniaco per orientare la lettura
sull’abisso di esistenze false, precarie e inutili.

…Non è il nostro un eterno precipitare?
E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati?
Esiste ancora un alto e un basso?
Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?
Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto freddo?
Non seguita a venire la notte, sempre più notte?...
(F. Nietzsche, La gaia scienza)



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