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Beatrice Bianchini
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QUEL GIORNO TU SARAI (EVOLUTION) (’97)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2022 ·
di Kornél Mundruczo
con Lili Monori, Annamaria Lang, Goya Rego, Padmé
Hamdemir, Jule Bowe Eril Major, Laszló Katona

La memoria umana è veramente qualcosa di irreale.
Sfioro un braccio e trovo la voce di un’altra persona.
Tocco dei volti e i loro occhi si allontanano.
Scopro un cielo azzutto e tutte le forme
intorno si nascondono.
Attraverso un ponte e non c’è nessun fiume sotto.
Come sono inafferrabili taluni ricordi nel loro essere appesi
a niente, forme in continuo movimento che restituiscono il
niente in un niente più grande.
( Fabrizio Caramagna)

Tre episodi:

Eva ( ’20)
Tre uomini entrano in un seminterrato, buio e fatiscente,
con secchi, spazzoloni, liquidi.
Cominciano a cospargere muri e pavimenti con detergenti
e procedono strofinando energicamente superfici.
Tutto avviene in silenzio e da fessure, griglie, fori, crepe
emergono filamenti di peli, capelli sempre più abbondanti
e inquietanti fino al momento in cui si sente il pianto di
una bambina.

Lena ( ’36)
Una anziana donna vive in una casa dove l’acqua esce a
singhiozzo. Arriva la figlia per portarla ad una
commemorazione e ritirare un premio.
La donna si rifiuta e la figlia inizia un dialogo concentrato
su risentimenti e memorie inespresse fino
ad un evento dai tratti apocalittici.

Jonas (’41)
Berlino, evacuazione degli studenti da una scuola per un
incendio. Una ragazza turca con i capelli rasati e un
ragazzo subiscono atti di bullismo, rientrano a casa.
Tradizioni, memorie culture messe a dura prova in un
mondo contemporaneo lontano dal passato vissuto,
studiato, dimenticato.

Tre generazioni di una famiglia ungherese si confrontano
con l’Olocausto: il destino, la prigionia, l’abitudine, gli
errori, i traumi… quanto tutto questo condiziona la libertà?

L’EVOLUTIONE del trittico presentato da Mundruczo, è
piuttosto involuta: il primo piano sequenza, soffocante,
tragico, assordante, squarcia lo sguardo solo col pianto
disperato di una bambina, sopravvissuta. L’Eva del campo
di concentramento, ritrovata e salvata. Un Episodio,
indimenticabile, che rimane incollato sulla cornea, che
penetra nel timpano prima con il silenzio e poi le urla.
I capelli, ritrovati, prima pochi e fragili e poi sempre più
folti e corposi come possono essere le funi, le corde che
conducono ai corpi dei morti rimasti incastrati nelle
capigliature delle vite interrotte.
Anche qui come in Pieces of Woman c’è una bambina, c’è l’Eva della
mela, c’è la donna che sopravvive nonostante il dolore del travaglio
umano. Questo episodio, sostiene il regista, ha un carattere quasi
surreale. Abbiamo preso spunto da un romanzo di Imre Kertész in cui si
racconta di come la Croce Rossa Polacca si occupasse di pulire i campi
dopo la liberazione da parte dell’esercito russo e del fatto che durante il
loro lavoro venissero trovati molti bambini. Ci sembrava un perfetto
punto di partenza: volevamo filmare questo miracolo, il ritrovamento di
una piccola sopravvissuta, che diventasse il cuore del film. Un tema che
ci interessava esplorare in profondità dopo Pieces of a Woman era il
modo in cui questo tipo di eventi traumatici persista attraverso le
generazioni.

Il secondo episodio è strettamente connesso al primo, c’è il
recupero del conflitto, del rapporto disfunzionale tra una
madre che ha incontrato Mengele, che ha dovuto cambiare
cinque identità, che non vuole premi e onorificenze per
essere stata ebrea quando non poteva e non esserlo ora
che non vuole e una figlia alla quale ha “inoculato la
sfiducia nel mondo”, procurandole un’infanzia assurda
sebbene non inesistente.
Ed ecco la necessità di una nuova nascita, di una rottura
delle acque, di un liquido amniotico che invade la casa per
una nuova maternità apocalittica e definitivamente
distruttiva.
Il terzo episodio, retorico, banale e sorprendentemente
mainstream, rimane il tassello incompiuto di un film
straordinario per due terzi: la narrazione della memoria
contemporanea non incontra il talento del regista
ungherese e rimane irrisolto, impreciso e superficiale.
La storia di Jonas, rappresenta, forse intenzionalmente (?),
la narrazione della superficialità della strumentalizzazione
del giorno delle vittime dell’Olocausto, che diviene il
“dovere impossibile” della memoria smarrita e della
“trasmissione intergenerazionale del trauma?

La colonna sonora di Dascha Dauenhauer, dall’adagio del concerto per
pianoforte e orchestra n.23 di Mozart, alla malinconica Lovers are
strangers di Michelle Gurevich accompagnano i lunghi piano sequenza
fluttuanti di Mundruczo, che sa perfettamente come non anticipare
cosa sta per accadere.

Noi siamo la nostra memoria,
noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti,
questo mucchio di specchi rotti.

( Jorge Luis Borges)



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Ideato e realizzato da Sandro Alongi
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