di Václav Mahroul
Ucraina, Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca.
La Via Crucis di un bambino nelle campagne dell’Europa dell’est alla fine della seconda guerra mondiale.
Un incendio lo costringerà ad abbandonare la casa alla quale era stato affidato per iniziare un percorso di incontri attraverso i quali verrà considerato portatore di sventura e vampiro; capro espiatorio di ignoranza fatta di riti e superstizioni.
Abusato da un uomo, iniziato da una donna, picchiato, sfruttato, affondato nello sterco, abituato ad assistere ad ogni espressione di violenza, privato di qualunque riconoscimento umano, mai individuato con un nome che gli avrebbe conferito una seppur misera identità.
La pornografia di una umanità senza censura, omologata all’identificazione di qualcuno che in quanto nessuno diviene oggetto di qualunque banalità del male.
Ispirato piuttosto fedelmente all’omonimo romanzo, più o meno autobiografico del polacco Jerzy Kosinski, nato nel 1933 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1957 racconta attraverso la storia di un bambino, l’atavico accanimento della disumanità troppo umana, contro le alterita’ così umane.
Il terzo lungometraggio di 169 minuti di Václav Mahroul girato in 35 mm in bianco e nero, mette a dura prova la capacità di sopportazione della inutilità e della inspiegabilita’ della perpetrazione del male.
Le atrocità alle quali il bambino è sottoposto dai soldati russi o tedeschi, non risultano meno feroci di quelle perpetrate dai contadini perché considerato ebreo o zingaro.
Tutto quello che la storia, la letteratura e il cinema, come nel caso di The painted bird, raccontano, sembra incredibile ma basta avere la capacità di osservare il presente ed è facile rendersi conto quanto la perpetrazione della violenza verso l’estraneità è sempre più subdola e ipocrita.
Questa narrazione collocata nel post seconda guerra mondiale è sorprendentemente vicino alle crudeltà dei nostri tempi di “pace” e ritenere quelle immagini e quei fatti troppo violenti per poter essere rappresentati significa essere assolutamente ciechi difronte alle atrocità contemporanee.
La reazione infastidita alle esplicite crudeltà vissute dal bambino evidenziano l’ipocrisia di uno sguardo capace solo a distogliere l’attenzione da ciò che ci circonda.
Violenza, pedofilia, torture, schiavitù, mutilazioni, abbandono, fame, freddo, sfruttamento, riguardano ancora e sempre l’esistenza umana.
Il bambino incontra una umanità istintivamente animale, asservita alla produzione artificiale della diversità, come nel caso dell’uccello dipinto, la cui fabbricazione giustifica l’aggressione da parte dei propri simili.
Questo film non vuole risparmiare nulla e non esita a infastidire.
Uscito nel 1965 l’omonimo romanzo destò scalpore su entrambi i lati della Cortina di Ferro divenendo uno dei libri più controversi nell’era della Guerra Fredda.
Più di 50 anni dopo caduto il velo delle ideologie e sopraggiunta la nebbia del capitalismo, questo romanzo continua a parlarci attraverso il film di Mahroul, con l’eloquenza, il coraggio e l’universalità dei grandi classici.
Alla fine del lungometraggio tutto diventa più chiaro: si comprende dove fossero i genitori; il bambino riesce a ricordare e a scrivere il suo nome e perché ha vissuto quelle atrocità evitandone altre. Ma che si sia dentro o fuori, che si viva prima o dopo, il film è un aspro invito a guardare una realtà spazio/ temporale senza autorizzare la costruzione di un alibi che distolga l’attenzione dalla attenta osservazione del presente.
Ucraina, Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca.
La Via Crucis di un bambino nelle campagne dell’Europa dell’est alla fine della seconda guerra mondiale.
Un incendio lo costringerà ad abbandonare la casa alla quale era stato affidato per iniziare un percorso di incontri attraverso i quali verrà considerato portatore di sventura e vampiro; capro espiatorio di ignoranza fatta di riti e superstizioni.
Abusato da un uomo, iniziato da una donna, picchiato, sfruttato, affondato nello sterco, abituato ad assistere ad ogni espressione di violenza, privato di qualunque riconoscimento umano, mai individuato con un nome che gli avrebbe conferito una seppur misera identità.
La pornografia di una umanità senza censura, omologata all’identificazione di qualcuno che in quanto nessuno diviene oggetto di qualunque banalità del male.
Ispirato piuttosto fedelmente all’omonimo romanzo, più o meno autobiografico del polacco Jerzy Kosinski, nato nel 1933 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1957 racconta attraverso la storia di un bambino, l’atavico accanimento della disumanità troppo umana, contro le alterita’ così umane.
Il terzo lungometraggio di 169 minuti di Václav Mahroul girato in 35 mm in bianco e nero, mette a dura prova la capacità di sopportazione della inutilità e della inspiegabilita’ della perpetrazione del male.
Le atrocità alle quali il bambino è sottoposto dai soldati russi o tedeschi, non risultano meno feroci di quelle perpetrate dai contadini perché considerato ebreo o zingaro.
Tutto quello che la storia, la letteratura e il cinema, come nel caso di The painted bird, raccontano, sembra incredibile ma basta avere la capacità di osservare il presente ed è facile rendersi conto quanto la perpetrazione della violenza verso l’estraneità è sempre più subdola e ipocrita.
Questa narrazione collocata nel post seconda guerra mondiale è sorprendentemente vicino alle crudeltà dei nostri tempi di “pace” e ritenere quelle immagini e quei fatti troppo violenti per poter essere rappresentati significa essere assolutamente ciechi difronte alle atrocità contemporanee.
La reazione infastidita alle esplicite crudeltà vissute dal bambino evidenziano l’ipocrisia di uno sguardo capace solo a distogliere l’attenzione da ciò che ci circonda.
Violenza, pedofilia, torture, schiavitù, mutilazioni, abbandono, fame, freddo, sfruttamento, riguardano ancora e sempre l’esistenza umana.
Il bambino incontra una umanità istintivamente animale, asservita alla produzione artificiale della diversità, come nel caso dell’uccello dipinto, la cui fabbricazione giustifica l’aggressione da parte dei propri simili.
Questo film non vuole risparmiare nulla e non esita a infastidire.
Uscito nel 1965 l’omonimo romanzo destò scalpore su entrambi i lati della Cortina di Ferro divenendo uno dei libri più controversi nell’era della Guerra Fredda.
Più di 50 anni dopo caduto il velo delle ideologie e sopraggiunta la nebbia del capitalismo, questo romanzo continua a parlarci attraverso il film di Mahroul, con l’eloquenza, il coraggio e l’universalità dei grandi classici.
Alla fine del lungometraggio tutto diventa più chiaro: si comprende dove fossero i genitori; il bambino riesce a ricordare e a scrivere il suo nome e perché ha vissuto quelle atrocità evitandone altre. Ma che si sia dentro o fuori, che si viva prima o dopo, il film è un aspro invito a guardare una realtà spazio/ temporale senza autorizzare la costruzione di un alibi che distolga l’attenzione dalla attenta osservazione del presente.
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